Alternativa Libertaria/Federazione dei Comunisti Anarchici Sezioni di Livorno e Lucca |
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Quaderni studio O.C.L.1
all'analisi sullo Stato a cura di : Angiolo Naldi Cristiano Valente Carmine Valente ORGANIZZAZIONE COMUNISTA LIBERTARIA livorno 1983 Introduzione Questo primo numero di Quaderni-Studio rappresenta il risultato iniziale di una serie di studi dei compagni dell'Organizzazione Comunista Libertaria di Livorno sulla tematica Stato. Il documento che segue conclude la fase di un dibattito interno alla nostra organizzazione durato circa due anni, durante il quale si è evidenziata una serie di dinamiche che, pur non riultando indolori (ben due compagni sono usciti dall'oraganizzazione per questioni inerenti a questo studio), ha senza dubbio permesso di delineare, forse per la prima volta nella nostra storia di O.C.L., una discriminante strategica che, pur nel suo stadio iniziale, rivela la sua fondamentalità quale strumento analitico generale. Il lavoro che presentiamo nasce dall'esigenza, ormai quasi decennale, di voler superare la fase delle “intuizioni” relative alle analisi politiche ed economiche che venivano affrontate, di volta in volta, con il solo parametro ideologico e classista, che pur rivelandosi utile – permettendo quindi la nostra “sopravvivenza” politica- risultava per noi ormai decisamente insufficiente. Insufficiente, soprattutto in relazione alle dinamiche storiche-sociali di quest'ultimo decennio che si mostravano “fuori dal tiro” di organizzazioni politiche quali la nostra (ma, sicuramente, anche di tutte le altre organizzazionni Comuniste Anarchiche e non) che fondamentalmente basavano su una metodologia empirica l'analisi politica ed economica contingente. Dunque, non la presunzione della ricerca di “verità” o di dogmi, né la scelta, a nostro avviso sempre limitante per l'organizzazione rivoluzionaria, di una “chiusura” rivolta unicamente allo studio e all'approfondimento teorico; bensì la volontà di sottoscrivere scientificamente le analisi affrontate per l'intervento. Nè, tra l'altro, un lavoro che ci vogliamo dedicare, ma da offrire come primo contributo, più o meno modesto, a tutti i compagni dell'area C.A. che, come noi, prediligono le scelte or ora indicate. Il nostro studio si avvia con l'analisi della concezione filosofica dello Stato, partendo dalla critica di Marx ed Hegel, fino a tracciare un quadro elaborativo che, attraverso il pensiero dei maggiori teorici del Movimento Operaio (coinvolgendo praticamente tutti: da Marx ed Engels a Bakunin, a Lenin , a Fabbri ecc.), evidenzi una linea teorica compatibile con la strategia storica del Movimento Comunista Anarchico. Abbiamo ritenuto importante partire dunque “da lontano” alfine di inquadrare tutto il lavoro – che si completerà successivamente con l'approfondimento economico in relazione sempre alla questione Stato- in un contesto teorico generale che reputiamo in grado di permettere la comprensione della reale evoluzione dell'organizzazione statale moderna in rapporto allo sviluppo del Movimento Operaio. La bibliografia allegata può dare un 'idea del respiro che questo lavoro ha avuto e dei riferimenti teorici dei quali abbbiamo usufruito. Naturalmente , per quanto queste note rappresentino solo una prima fase, abbiamo ritenuto opportuno, non appena il dibattito interno ce lo ha permesso, trarre le prime conclusioni, che nel testo sono riportate e che per noi rappresentano finalmente un punto fermo attorno al quale riteniamo sarà possibile, dialetticamente, la costruzione dell'Organizzazione Politica.
È necessario sottolineare l'influenza di Feuerbach sulla critica marxista ad Hegel; nelle opere iniziali predomina l'”umanismo reale” che Marx già coglieva, pur non restandone particolarmente colpito, da “Le Tesi” (in pratica, la continuazione della “Essenza del Cristianesimo”). Feuerbach, in queste opere, attacca la dialettica hegeliana che rappresentava “l'ultimo rifugio per la teologia” in quanto per essa la filosofia aveva inizio e fine in Dio, nell'infinito, e l'uomo, il finito, non era che un punto, una fase dell'assoluto. Saranno proprio le tesi feuerbachiane che permetteranno a Marx di mettere a punto il metodo che gli permetterà di ribaltare specularmente la filosofia hegeliana, pur conferendo alla sua metodologia politica una configurazione storico-sociale fino a giungere al definitivo passaggio dalla ideologia pura alla teoria scientifica (quindi al materialismo storico ed alla economia politica) assolutamente assenti in Feuerbach. L'interesse maggiore che suscitano le opere giovanili di Marx è dovuto essenzialmente, a nostro avviso, al metodo che il giovane Marx usa per l'elaborazione della sua idea socialista. Metodo che Marx mette a punto affrontando Hegel e la sua filosofia la quale, a sua volta, scaturisce da un metodo, pur conducendo a conclusioni errate. Marx comprende la validità dell'analisi storica, e partendo dalle istituzioni politiche esistenti mira a dimostrare l'erroneità della concezione di Hegel giungendo in tal modo a conclusioni scientifiche. Ed è con questi presupposti che Marx giunge ad invertire il rapporto idea-realtà espressi nella concezione hegeliana, nella quale è l'idea a risultare sempre come soggetto il reale, quindi l'uomo, con il suo modo di essere, il predicato. Il reale è quindi, per Hegel, il risultato dell'idea, e la critica che Marx muove, che si contrappone totalmente al pensiero hegeliano, è la dimostrazione di una continua opposizione nella realtà storica, tra idea e realtà. Marx, più volte, nei suoi elaborati, sottolinea il distacco tra la sua metodologia storico-scientifica e la concezione hegeliana: “Sotto Luigi XVIII la costituzione è una grazia regia (carta ottriata del re), sotto Luigi Filippo il re è una grazia della costituzione (monarchia ottriata).” Il re è ora soggetto ora predicato.- La condizione è determinata dalla condizione storica. “Possiamo soprattutto osservare che la trasformazione del predicato in soggetto e del soggetto in predicato... significa sempre rivoluzione prossima...- Hegel fa essere come soggetto il momento dell'idea dello stato e le vecchie esistenze statali come predicati, mentre nella realtà storica della cosa accadeva il contrario, e l'idea dello stato era sempre il predicato di quelle esistenze.” (Marx, Scritti politici giovanili.) È da “Per la critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico” che Marx, in contraddittorio diretto con Hegel, descrive la genesi storica dello stato. Infatti, per Hegel, lo stato è al di sopra della società civile ed è concepito come “unità etica” del popolo. Più precisamente, il presupposto di Hegel è questo: nella sua analisi la famiglia rappresenta il nucleo originato dalla naturalità del rapporto sessuale e dalla spiritualità del sentimento in cui l'individuo, realizzando una sua totalità etica, annulla la sua personalità. Nella base della concezione hegeliana, la famiglia rappresenta la TESI.- La società civile, che risulta dall'insieme delle famiglie formatesi dalla rottura e dalla dispersione del nucleo originario è per Hegel, la forma sociale che racchiude gli aspetti che sono “prima” e “fuori” dai veri e propri compiti e funzioni dello stato ed è antitesi diretta della famiglia.- Lo stato: è invece lo stato, sempre secondo Hegel ad avere valore superiore a quello della società è civile.- Esso è “la realtà etica che si incarna in un popolo”.- Per citare Hegel, lo stato “è lo spirito nel quale ha luogo la prodigiosa unione dell'individuale e della sostanzialità universale.- Il diritto dello stato è quindi più alto degli altri gradi: è la libertà nella sua concreta formazione, la quale cede soltanto alla suprema assoluta verità dello spirito universale...”.- Lo stato risolve l'antitesi dialettica fra individuo e società civile e ne è la SINTESI.- Hegel, quindi, come dice Marx “..ci informa che la libertà concreta consiste nell'identità (normativa e duplice) del sistema dell'interesse particolare (della famiglia e della società civile) col sistema del generale interesse (lo stato)”.- Lo stato come “scopo immanente”, come “scopo finale...del particolare interesse degli individui” è, per Marx “...un'antinomia irrisolta.- Da una parte, necessità esterna; dall'altra parte, scopo immanente.” Hegel, quindi affermando che lo stato ha una posizione esterna, suprema rispetto ai propri elementi che da esso sono prodotti, inverte i reali rapporti fra idea e uomo, fra universale e particolare ed è qui il suo apriorismo speculativo: “l'idea è ridotta a soggetto. E il reale rapporto della famiglia e della società civile con lo stato è inteso come interna, immaginaria, attività dello stato. Famiglia e società civile sono i presupposti dello stato, sono essi propriamente gli attivi. Ma nella speculazione diventa il contrario: mentre l'idea è trasformata in soggetto, quivi i soggetti reali, la società civile, la famiglia...diventano dei momenti obiettivi dell'idea ...” (Marx, “La critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico”).- Marx quindi continua nella critica alla filosofia del diritto di Hegel alla disarticolazione della concezione hegeliana e analizza il potere monarchico, la democrazia e la burocrazia con argomentazioni sulle quali merita tornare.- Per adesso andiamo ad evidenziare gli scritti in cui Marx analizza le classi e la loro funzione politica.- Secondo Hegel, rileva Marx “le classi della società civile sono le classi politiche... cioè... la società civile... è.. la società politica.” Per Hegel le classi sono la sintesi dello stato e della società civile e hanno funzione come cuscinetto, di mediazione, tra il governo e il popolo.- Ma Marx smentisce asserendo che il fatto stesso che le classi esistono è presupposto di separazione tra stato e società civile ed inoltre, partecipando unicamente al livello legislativo, non hanno alcuna funzione attiva a livello di governo.- Quindi, non possono realizzare la suddetta sintesi. - Marx sottolinea questa contraddizione evidenziando come lo stesso Hegel abbia insistito sulla contrapposizione tra la società civile (la sfera dell'interesse privato) e lo stato; “società civile e stato sono separati.- Il cittadino deve, dunque, operare una rottura essenziale seco stesso.- Come cittadino reale esso si trova in una doppia organizzazione: quella burocratica...che non tocca il cittadino nella sua realtà indipendente e quella sociale, l'organizzazione della società civile.- Ma in questa esso sta come uomo privato fuori dello stato: essa non tange lo stato politico come tale. La prima è un'organizzazione statale, a cui esso cittadino offre sempre la materia ; la seconda è un'organizzazione civile, la di cui materia non è lo stato.- Nella prima lo stato si rapporta come opposizione formale al cittadino, nella seconda questi si rapporta come opposizione materiale allo stato.- Per comportarsi, dunque, come reale cittadino dello stato, e attingere significato e attività politica, esso è costretto a uscire fuori dalla sua realtà civile...che è l'unica esistenza che esso trova per la sua qualità di cittadino dello stato; è la sua pura, nuda, individualità essendo compiuta, senza di lui, l'esistenza dello stato come governo, ed essendo compiuta, senza lo stato, la sua esistenza nella società civile” (Marx, op. cit.) E ancora una volta : “non è da biasimare Hegel perché egli descrive l'essere dello stato moderno qual è, ma perché spaccia ciò che è come l'essenza dello stato”.- Marx avvalora le sue tesi con un'analisi storica che affronta “l'evoluzione” delle classi dall'antichità fino alla rivoluzione francese, alla quale Marx attribuisce “il merito” di aver posto sullo stesso piano politico tutti i cittadini (anche se poi a prevalere è stata la società borghese): “È un progresso della storia che ha mutato le classi politiche in classi sociali...soltanto la rivoluzione francese condusse al termine la trasformazione delle classi politiche in sociali, ovvero fece delle differenze di classe della società civile soltanto delle differenze sociali, delle differenze della vita privata, che sono senza significato nella vita politica. Fu con ciò compiuta la separazione di vita politica e di società civile.” (Marx, op. cit.). E ancora: “dal momento che le classi civili sono, come tali, classi politiche, non occorre... mediazione; e dal momento che occorre … mediazione, la società civile non è politica, e non lo è dunque neanche quella mediazione.” (Marx, op. cit.). La burocrazia La tematica della separazione tra stato e società civile si sviluppa i modo ulteriore nella critica di Marx ad Hegel sulla burocrazia, durante l'esame del potere esecutivo. Secondo Hegel la burocrazia è costituita da un corpo di funzionari statali con il compito di garantire l'unitarietà dello stato; e le corporazioni -la rappresentazione degli interessi privati- servono allo stato per la mediazione e per la comprensione delle contraddizioni della società civile. Il monarca al vertice dello stato, e le corporazioni alle basi della società sono, secondo Hegel, in grado di controllare i burocrati e di garantirne un comportamento “morale”. Ma le contrapposizioni storiche che si determinano vengono, per Marx, soltanto nascoste e non c'è nessun intervento mediatorio della burocrazia, la quale nasce proprio dalla separazione fra stato e società civile, costituendo per l'essere uomo, assieme allo stato monarchico, ulteriore elemento di alienazione. “Il medesimo spirito che crea, nella società, la corporazione, crea, nello stato, la burocrazia. Dunque, tostochè è attaccato lo spirito di corporazione, è attaccato lo spirito burocratico, e se prima la burocrazia ha combattuto l'esistenza delle corporazioni, per fare posto alla propria esistenza, ora essa cerca di mantenere a viva forza l'esistenza delle corporazioni per salvare lo spirito corporativo, il suo spirito.” (Marx, op. cit.) - In tal modo la burocrazia assume elementi di particolarità che la distinguono nello stato stesso, creando nuovi problemi anziché risolvere i già esistenti, identificando i propri interessi con quelli generali dello stato: “La burocrazia è lo stato immaginario accanto allo stato reale, lo spiritualismo dello stato. Ogni cosa ha dunque un doppio significato, uno reale e uno burocratico, perimenti il sapere è doppio, uno reale ed uno burocratico (così anche il volere). Ma l'essere reale è trattato secondo la sua essenza trascendente, spirituale.- La burocrazia detiene l'essenza dello stato, l'essenza spirituale della società, questa è la sua proprietà privata.” /Marx, op. cit.). Secondo Hegel la certezza e la personalità dello stato si identificano nel monarca e, sintetizzando, c'è antitesi diretta fra la sovranità popolare e quella monarchica. Marx definisce illusoria la sovranità monarchica e dando il fianco ad un'impostazione democraticistica che ritroveremo soprattutto nella disputa della Iª Internazionale fra anarchici e “autoritari”, sottolinea l'importanza della costituzione quale frutto dell'autodeterminazione del popolo: “nella democrazia nessuno dei suoi elementi acquista un significato diverso da quello che gli spetta. Ciascuno è realmente solo un momento dell'intero demos. Nella monarchia una parte determina il carattere del tutto: l'intera costituzione si deve modificare secondo un punto fisso.- La democrazia è il genus della costituzione.- La monarchia è 'contenuto e forma' “. (Marx, op. cit.) Il metodo mette ancora una volta al centro l'uomo, ma essendo ancora lontani dall'analisi economica, l'impostazione è ideologica e prettamente democraticistica. Democraticismo che, sempre nella critica alla filosofia del diritto di Hegel, riaffiora nel momento in cui Marx, nella sua analisi della “democrazia reale” sostiene come questa comporti il suffragio universale e ancora come questo determini il dissolvimento dello stato: “L'elezione è il rapporto reale della reale società civile alla società civile del potere legislativo, all'elemento rappresentativo.- Ossia, l'elezione è il rapporto immediato, diretto, non meramente rappresentativo ma reale, della società civile con lo stato ... .Soltanto nell'elezione illimitata, sia attiva che passiva, la società civile si solleva realmente all'astrazione da se stessa, all'esistenza politica come sua vera esistenza generale, essenziale.- Ma il compimento di questa astrazione è al contempo la soppressione dell'astrazione.- Quando la società civile ha realmente posta la sua esistenza politica come la sua vera esistenza, ha contemporaneamente posto la sua esistenza civile, nella sua distinzione da quella politica, come inessenziale; e con una delle parti separata cade l'altra, il suo contrario. La riforma elettorale è, dunque, entro lo stato politico astratto, l'istanza dello scioglimento di questo, come parimente dello scioglimento della società civile.” (1) Secondo Hegel, in un altro punto molto importante della critica marxiana, una classe in particolare, quella fondiaria, per il “naturale” legame esistente tra proprietà privata ed individuo (e quindi una garanzia di potenza) avrebbe predisposizione, nell'intendimento del diritto pubblico di Hegel, ad esercitare il potere legislativo. Marx sottolinea invece come sia la proprietà privata, nell'organizzazione sociale a far nascere la necessità di controllo politico, ideologico, e, infine economico (e questo Marx lo sottolineerà negli scritti successivi) che poi porta necessariamente alla formazione dello stato. Il problema della separazione fra stato e società civile è ampiamente ripreso nella “Questione ebraica” dove Marx, partendo dalla richiesta da parte degli ebrei prussiani di emancipazione politica e civile, giunge a sostituire all'emancipazione politica quella sociale, concludendo che “l'emancipazione sociale dell'ebreo è l'emancipazione della società dall'ebraismo”.- Strettamente legato con la questione dell'emancipazione è quella dei “diritti dell'uomo”, per i quali è immediato trovare un aggancio all'attualità, soprattutto in un'ampia sfera della “sinistra moderna”. A differenza dei diritti del cittadino, che sono riferiti all'ambito politico e si ricollegano alla partecipazione dell'uomo alla generalità dello stato, i diritti dell'uomo sono, per Marx sintomi della separazione che avviene all'interno della società borghese, e non esprimono alcunché di sociale. Questi diritti esprimono esigenze egoistiche e in tutte le costituzioni in cui essi vengono rivandicati, l'“uomo” prevale al "cittadino" e quello che si esprime è, inequivocabilmente, il "non legame de1l'uomo con 1'uomo, ma piuttosto sul1'isolamento dell'uomo, il diritto del1'individuo limitato, limitato a se stesso”. Dunque la proprietà è il "...diritto all'egoismo"; la libertà "...è il diritto di fare ed esercitare tutto ciò che non nuoce agli altri"; quindi tutto i1 concetto di libertà si basa sull'isolamento dell'uomo nella società: "nessuno dei cosiddetti diritti dell'uomo trascende dunque l'uomo egoistico, l'uomo in quanto membro della società borghese, ossia il singolo in se stesso, nel suo interesse privato e nel proprio privato arbitrio, isolato dalla comunità. L'uomo, 'ben lungi dall'essere concepito in essi come membro della specie umana...appare anzi come una cornice esterna agli individui, come una limitazione della loro indipendenza originaria. L'unico legame che li tiene uniti è la necessità naturale, il bisogno e 1'interesse privato, la conservazione della proprietà e della persona egoistica." (Marx; "La Questione ebraica"). L'obiettivo è l'emancipazione umana - che per Marx si ottiene tramite la rivendicazione dei diritti del cittadino - il ribaltamento dello stato attuale delle cose (e quindi le strade dei novelli pensatori della sinistra, che implorano pace e giustizia senza reale è diretta opposizione al sistema, non sono scorciatoie, ma vicoli chiusi). - La storia del proletariato, della sua emancipazione, della sua liberazione, esige soltanto la rivoluzione. Dunque emancipazione umana e non emancipazione politica, che già non fu ottenuta, come sottolinea Marx, dal passaggio dal regime feudale a quello borghese, in quanto "l’uomo non venne liberato dalla religione: ricevette la libertà religiosa. Non venne liberato dalla proprietà: ricevette la libertà di possedere. Non venne liberato dall'egoismo professionale: ricevette la libertà professionale." Per una prima puntualizzazione, pensiamo che gli elementi sinora introdotti siano perlomeno sufficienti per la prosecuzione del nostro studio. Dagli scritti giovanili di Marx si può comunque evidenziare ulteriormente l'importanza della "critica". Ma questa base concettuale non è fine a se stessa e la sola strada che porta al definitivo momento risolutorio è e resta l'azione rivoluzionaria, quindi, secondo Marx, la "prassi" ( "1'arma della critica non può sostituire la critica delle armi".) E questa è sicuramente la risposta più netta che Marx contrappone alla filosofia hege1iana ed alla sua astrattezza e su cui inizia la costruzione della concezione materialistica della storia per la quale è essenziale l'analisi reale delle condizioni economiche della struttura sociale e la ricerca dell'intervento pratico per modificare la struttura economica stessa: "...per il materialista pratico, cioè per il comunista, si tratta di rivoluzionare il mondo esistente, di mettere mano allo state di cose incontrato e di trasformarlo”. MATERIALISMO STORICO E MATERIALISMO DIALETTICO Abbiamo visto noi paragrafi precedenti lo sviluppo del pensiero filosofico di Marx, il quale sopratutto negli anni giovanili affronta in maniera organica il problema dello stato. (1) La fecondità di tali elaborazioni ci è data dal corretto approccio storicistico; non è lo stato in generale che Marx analizza, ma lo stato moderno, lo stato rappresentativo, lo stato, come abbiamo visto, dove netta è la frattura tra esso e la società civile. Benché ancora non pienamente formulata ci troviamo di fronte al nocciolo fondamentale della teoria rivoluzionaria: il Materialismo Storico, cosi brevemente, ma chiaramente tracciato da Marx nella prefazione alla "Critica dell'economia politica": “La mia ricerca arrivò alla conclusione che tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello Stato non possono essere compresi né per se stessi, né per la cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici, piuttosto, nei rapporti materiali della esistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegel, seguendo l'esempio degli inglesi e dei francesi del secolo XVIII, sotto il termine di "societé civile"; e che 1'anatomia della società civile é da cercare nella economia politica.- ....Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materia1i. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza socia1e. I1 modo di produzione della vita materiale condiziona, in genera1e, il processo sociale, politico e spirituale del1a vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, a1 contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, lo forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto la espressione giuridica) dentro i quali tali forze per 1'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale.- Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.' Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione dello scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia lo forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo da1l'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento della coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra la forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppato tutte le forze produttive a cui può dar corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno a11a vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare lo cosa dappresso, si trova sempre che i1 problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. I rapporti di produzione borghese sono l'ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorga dallo condizioni di vita sociali degli individui.- Ma le forze produttive che si sviluppano nel sene della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. CON QUESTA FORMAZIONE SOCIALE SI CHIUDE DUNQUE LA PREISTORIA DELLA SOCIETÀ UMANA".- La concezione materialista della storia e la sua interpretazione dialettica, non solo hanno "fornito il filo conduttore" per gli studi di Marx, ma hanno rappresentato la rottura più feconda con l'utopismo dei massimi sistemi (Fourier) e con il materialismo meccanicistico e metafisico che partiva dalla materia come elemento statico ed immutabile, non cogliendo la dinamica dovuta alla interazione con l'uomo. "Il difetto principale di ogni materialismo fino a oggi, compreso quello di Feuerbach, é che l'oggetto, il reale, il sensibile é concepito sotto forma di oggetto o di intuizione, ma non come attività umana sensbile, come attività pratica, non soggettivamente.- E‘ accaduto quindi che il lavoro attivo è stato sviluppato dall'idea1ismo, in opposizione al materialismo, ma solo in modo astratto, poiché naturalmente 1'idealismo ignora 1'attività reale, sensibile come tale. (2) Per la prima volta abbiamo una concezione filosofica che non solo ci dà gli strumenti di analisi della realtà, ma attraverso la lettura dialettica di essa, mostrandone 1e contraddizioni insite, si pone i1 problema di cambiar1a. L'uomo appare sullo scenario della storia, in quanto non è un semplice "dato" della natura, esso non si adatta semplicemente ad essa come l'animale, ma la trasforma con il proprio 1avoro. Questa affermazione del ruolo dell'uomo non deve essere intesa come una riproposizione di un volontarismo spontaneistico o peggio idealista, in quanta "gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che trovano davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione". (3) I1 movimento operaio internazionale seguendo il "filo conduttore" della concezione materialista e dialettica della storia trasse nuovo vigore per 1e proprie organizzazioni impantanate in un volontarismo moralistico e frammentate in sette più o meno clandestine. L'analisi storica della realtà, il suo intreccio con i rapporti di produzione, 1'analisi dialettica delle contraddizioni che lo sviluppo capitalistico determina, fornirono al proletariato gli strumenti per comprendere i compiti storici che l'attendevano. Questi 150 anni di storia del Movimento Operaio ci hanno mostrato che quando questo filo conduttore viene smarrito, il proletariato subisce le lusinghe del proprio avversario di classe (dal nazionalismo al patto sociale) e analoga sorta si ha quando questo “filo conduttore” da utile strumento di analisi, di comprensione e di indicazione politica diventa rigido schema precostituito. Alcuni schemi che hanno risentito di una applicazione riduttiva riguardano gli aspetti fondamentali della elaborazione scientifica del materialismo storico e dialettico. Ci riferiamo da un lato alle 5 fasi storiche dello sviluppo della società -comunità primitiva, schiavitù, regime feudale, regime capitalista, società socialista — cosi delineate da Marx nella "Ideologia Tedesca"; e dall'altro al rapporto tra struttura e sovrastruttura. Le interpretazioni dogmatiche che si sono sviluppate sulle affermazioni di Marx fatte nei primi studi, quali “L"Ideo1ogia Tedesca", la prefazione alla “Critica della economia politica” ed altri, non solo non tengono conto delle successive elaborazioni e chiarificazioni, ma stravolgono completamente il carattere rivoluzionario di tali scoperte scientifiche, le quali proprio in quanto schema, coglievano solo gli aspetti fondamentali sia dello sviluppo storico che del rapporto struttura sovrastruttura. Né va trascurata l'esigenza polemica di affermare nettamente questi concetti anche in maniera rigida, per spazzare il campo dall'idealismo imperante e dal materialismo vo1gare.- Engels, a tal proposito, nel 1890 in una lettera a Joseph Bloch scriveva: "Siamo Marx ed io, in parte responsabili del fatto che, talvolta, i giovani danno più peso di quanto sia dovuto all'aspetto economico. Di fronte ai nostri avversari che lo negavano, era per noi necessario sottolineare i1 principio essenziale da loro negato, e allora accadde che non trovammo sempre i1 tempo, il luogo o l'occasione di dare spazio che loro spetta agli altri fattori che partecipano alla azione reciproca; ma non appena si trattava di presentare una parte di storia vale a dire di passare alla applicazione pratica, la cosa cambiava e non c‘era possibilità alcuna di errore”. Un esempio di ciò si ha nel Cap. XXIV del Capitale, come vedremo più avanti, dove nella descrizione della accumulazione originaria appare chiara l'interazione tra struttura e sovrastruttura. Sarebbe a tal proposito interessante analizzare compiutamente il processo di accumulazione capitalistica negli Stati Uniti in relazione al mantenimento del regime di schiavitù. Siamo di fronte ad un paese dove il capitalismo già nei primi decenni del 1800 è nel suo pieno sviluppo; la borghesia, senza ombra di dubbio, è classe dominante, e il proletariato in forte espansione; eppure contemporaneamente persiste un odioso regime di schiavitù. Ripetiamo che occorrerebbe uno studio compiuto di una tale realtà, ma comunque ad un primo approccio ci pare che da una tale situazione storica si possa dedurre la non linearità dello sviluppo storico della società (5 fasi) e l'interazione della sovrastruttura ideologica e statale sulla struttura, in quanto è essenzialmente la violenza discriminatoria della legislazione statale a permettere la sussistenza di un fenomeno storicamente ed economicamente superato. Note: 1) Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico; 2) Marx "Tesi su Feuerbach"; 3) Marx "I1 diciotto Brumaio di Luigi Buonaparte“ DIBATTITO SULLO STATO NEL MOVIMENTO OPERAIO DAL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA ALLA FINE DELLA I° INTERNAZIONALE Sullo stato, la sua concezione, il rapporto fra questo e lo sviluppo della rivoluzione, si è consumata la prima scissione storica del Movimento Operaio in seno alla 1° Internazionale. Quel1o che oggi a noi interessa non è riscoprire "una verità" assoluta su le a1tre, né ritrovare e riscoprirsi padri di una teoria valida in eterno, ma, mantenendo fermo il presupposto dell'ana1isi materialistica, ricercare alcune indicazioni di fondo, anche nel contraddittorio, che si sviluppò in que1 periodo (1848-1890) non come diatriba esclusiva fra Marx, Bakunin e altri, ma come dibattito che condizionò e fu a sua volta condizionato da una serie di avvenimenti storici a partire dal 1848, dalla costruzione delle prime leghe, associazioni, fino alla Comune di Parigi. La prima indicazione la troviamo nel Manifesto del Partito Comunista.... "i1 proletariato si servirà della sua supremazia politica per strappare alla borghesia, a poco a poco tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, vale a dire del proletariato stesso organizzato come classe dominante, e per aumentare con la massima rapidità possibile la massa delle forze produttive". Qui è sintetizzato un elemento che nello sviluppo del1'analisi marxista è ricorrente, ripreso anche da Lenin, cioè che la fase precedente al Socialismo è la trasformazione dei grandi mezzi di produzione socializzati in proprietà statale e si fa dipendere la soppressione dello Stato dalla statalizzazione dei mezzi di produzione. Più esplicitamente su Antiduhring di Engels troviamo... ”il proletariato si impadronisce del potere dello Stato e anzitutto trasforma i mezzi di produzione in proprietà dello Stato...”. Marx esplicita ciò nel Manifesto dove parlando della posizione dei comunisti rispetto ai diversi partiti di opposizione evidenzia un'impostazione parlamentare e statalista e anche se ricorda la necessità della rottura violenta “….in Francia i comunisti si uniscono al partito socialista democratico ...in Germania il partito comunista lotta insieme alla borghesia, ogni qual volta prende una posizione rivoluzionaria contro la monarchia assoluta...”. Engels esplicita ancora di più questo concetto di evoluzione attraverso la via parlamentare nella sua lettera a Theodor Cuno del 24/1/1872 criticando Bakunin “...ma poiché per il Bakunin il male fondamentale è lo Stato, non si deve far nulla che possa tenere in vita lo Stato, vale a dire lo Stato in qualunque sua forma, repubblica, monarchia, o altre ancora. Di conseguenza astensione assoluta da ogni politica. Compiere un'azione politica, in particolare prendere parte a una elezione, equivarrebbe a tradire il principio...” Vedremo in seguito come Bakunin non sottovaluti affatto la lotta politica, né tanto meno la necessità di una “rivoluzione sociale” cioè un capovolgimento dei rapporti di produzione, ma la sua critica sia rivolta alla necessità della distruzione della macchina statale come sovrastruttura capace di auto alimentarsi e ricreare le basi di una nuova divisione di classe. Infatti molte scuole Marxiste hanno risolto questo problema, cioè del rapporto fra struttura e sovrastruttura, in modo a dir poco semplicistico se non determinista, facendo in assoluto dipendere la seconda dalla prima. Se invece indaghiamo con spirito non settario e al di fuori dalle polemiche vediamo come gli stessi Marx ed Engels affrontano il problema. Marx nel "Capitale", libro 1° capitolo XXIV, affrontando la separazione fra capitale e lavoro e le tappe fondamentali dell'accumulazione originaria, afferma che questa è il risultato di un processo storico in cui la violenza organizzata, lo Stato, i1 disprezzo dello uomo, sono le matrici della nuova organizzazione “...I cavalieri dell'industria riuscirono a soppiantare i cavalieri della spada sfruttando avvenimenti dei quali erano innocenti....ma tutti si servono del potere dello Stato, violenza concentrata e organizzata della società, per fomentare artificialmente i1 processo di produzione capitalistico e per accorciare i passaggi. La violenza è levatrice di ogni vecchia società gravida di una società nuova. E‘ essa stessa una potenza economica-..." E ancora, dall'introduzione a "Per la critica del1'economia politica" del 1857 Marx esaminando il rapporto che intercorre tra produzione, distribuzione scambio e consumo chiarisce il ruolo centrale della produzione, a differenza degli economisti classici (precedenti) che di volta in volta delineavano i vari aspetti come sfere a sé, accanto alla produzione o esterna ad essa. “...il risultato al quale perveniamo non è che produzione, distribuzione, scambio, consumo siano identici, ma che essi rappresentano tutti dei membri di una totalità, differenze ne1l'ambito di una unità. La produzione abbraccia e supera tanto se stessa, nella determinazione antitetica della produzione, quanto gli altri momenti- Da essa i1 processo ricomincia sempre di nuovo.“. Ma nel momento stesso in cui si dimostra che ancora una volta i1 tutto ruota intorno a fatti materiali storicamente dati -la produzione- si sottolinea 1'interazione dialettica esistente fra i vari momenti. “.... una produzione determinata determina quindi, un consumo una distribuzione, uno scambio determinato, non ché un rapporto fra questi diversi momenti - Indubbiamente, anche la produzione nella sua forma unilaterale è da parte sua determinata dagli altri momenti.- Quando per esempio il mercato e cioè la sfera dello scambio, si estende, la produzione cresce in estensione e si divide più profondamente.- Se muta la distribuzione la produzione si modifica, per esempio quando si verifica una contrazione del capitale, una diversa distribuzione della popolazione fra città e campagna ecc. Infine i bisogni del consumo determinano la produzione.- Tra i diversi momenti si esercita un'azione reciproca.- E questo avviene in ogni insieme organico". Anche Engels precisa contro quei materialisti che facevano derivare direttamente e meccanicamente la sovrastruttura dalla struttura, nella lettera a J.Bloch il 21.9.1890. "Secondo la concezione materialista della storia il fattore che in ultima istanza è determinante nella storia è la produzione e la riproduzione della vita reale.- Se ora qualcuno travisa le cose affermando che il fattore economico sarebbe 1'unico fattore determinante egli, trasforma quella proposizione in una frase vuota; astratta, assurda.- La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della sovrastruttura - le forme politiche della lotta di classe e i suoi risultati, le costituzioni promulgate dalla classe vittoriosa dopo aver vinto la baggaglia ecc, le forme giuridiche e persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi partecipano, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le concezioni religiose e la loro evoluzione ulteriore sino a costruire un sistema di dogmi - esercitano pure la loro influenza sul corso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano la forma in modo preponderante". Queste concezioni del rapporto fra struttura e sovrastruttura sono perfettamente coincidenti con le posizioni che Bakunin esprime nelle opere e che dimostrano come lungi da questi fosse l'immagine di uno stato che rappresenta l'ingiustizia e la tirannide in astratto: "Lo stato è come un grande macello è come un immenso cimitero ove generosamente, serenamente, vengono a lasciarsi immolare e seppellire tutte le aspirazioni reali, tutte le forze vive di un paese. E siccome nessuna astrazione esiste mai da se stessa né per se stessa, siccome essa non ha né gambe per camminare né braccia per creare, né uno stomaco per digerire, questa massa di vittime che le vien data ad ingoiare è chiaro che.... la astrazione politica, lo stato, rappresenti gli interessi non meno positivi e reali della classe oggi principalmente se non esclusivamente sfruttatrice, che d'altronde tende a conglobare tutte le altre, la borghesia". Un altro grosso nodo politico che anche esso ha determinato la rottura in seno all'Internazionale è la questione della dittatura del proletariato. Marx ne parla nel '52 nella sua lettera a J. Weydemeyr 5 marzo. "Per quello che mi riguarda, a me non appartiene né il merito di aver scoperto l'esistenza delle classi nella società moderna né quello di aver scoperto la lotta fra di esse. Già molto prima di me degli storici borghesi avevano esposto l'anatomia economica delle classi. Quel che io ho fatto di nuovo è stato di dimostrare: 1) che l'esistenza delle classi è soltanto legata a determinate fasi di sviluppo storico della produzione; 2) che la lotta di classe necessariamente conduce alla dittatura del proletariato; 3) che questa dittatura stessa costituisce soltanto il passaggio alla soppressione di tutte le classi ed a una società senza classi". Molto di più rispetto alla dittatura del proletariato da Marx non viene detto - dobbiamo soprattutto a Lenin una chiarificazione ulteriore su questo aspetto -fino a che un evento storico fondamentale nella storia del movimento operaio non fornirà, come Marx stesso dirà, "la forma politica finalmente scoperta', nella quale si poteva compiere l'emancipazione economica del lavoro”: La Comune di Parigi.- E' dall'esperienza della Comune che Marx ed Engels traggono i principi fondamentali della fase di transizione o meglio del potere operaio che porterà al comunismo, cioè in quella fase, che lo stesso Marx, in Miseria della filosofia aveva così sintetizzato "la classe lavoratrice nel corso del suo sviluppo sostituirà alla vecchia società civile, una associazione che escluderà le classi e il loro antagonismo, e poi non ci sarà più potere politico propriamente detto, poiché il potere politico è precisamente il compendio ufficiale dell'antagonismo esistente nella società civile" Infatti nell'introduzione all'edizione tedesca del 1891 all'indirizzo del consiglio generale dell'internazionale sulla guerra civile in Francia Engels scrive "in tutti i suoi proclami ai francesi della provincia essa (la comune) li chiamò a costituire una libera federazione di tutti i comuni francesi con Parigi; una organizzazione nazionale che per la prima volta doveva essere creata dalla nazione stessa.... la comune dovette riconoscere sin dal principio che la classe operaia, una volta giunta al potere non può continuare ad amministrare con la vecchia macchina statale; che la classe operaia per non perdere di nuovo il potere appena conquistato, da una parte deve eliminare tutto il vecchio macchinario repressivo già sfruttato contro di essa e d'altra parte deve assicurarsi contro i propri deputati e impiegati, dichiarandoli revocabili senza alcuna eccezione in ogni momento". E ancora Marx prosegue "....ma la classe operaia non può mettere semplicemente la mano sulla macchina dello stato bella e pronta, e metterla in movimento per i propri fini. Il potere statale centralizzato, con i suoi organi dappertutto presenti, esercito permanente, polizia, clero e magistratura -organi prodotti secondo il piano di una divisione del lavoro sistematica e gerarchica- trae la sua origine dai giorni della monarchia assoluta quando servì alla nascente società delle classi medie come arma potente nella sua lotta contro il feudalesimo .... il primo decreto della comune, quindi, fu la soppressione dell'esercito permanente e la sostituzione ad esso del popolo armato... una volta stabilito a Parigi e nei centri secondari il regime comunale il vecchio governo centralizzato avrebbe dovuto cedere il posto anche nelle provincie all'autogoverno dei produttori.... l'unità della nazione non doveva essere spezzata, anzi doveva essere organizzata dalla costituzione comunale e doveva diventare una realtà attraverso la distruzione di quel potere statale che pretendeva essere l'incarnazione di questa unità indipendente e persino superiore alla nazione stessa, mentre non era che un'escrescenza parassitaria.... l'esistenza della Comune portava con sé, come conseguenza naturale, la libertà municipale locale ma non più come un contrappeso al potere dello Stato ormai diventato superfluo.... Essa (La Comune) voleva fare della proprietà individuale una realtà, trasformando i mezzi di produzione, la terra e il Capitale, che ora sono essenzialmente mezzi di asservimento e di sfruttamento del lavoro, in semplici strumenti di lavoro libero e associato. Ma questo è COMUNISMO" Questa impostazione che deriva dall'analisi e dalla verifica di una rivoluzione trova piena corrispondenza con quanto Bakunin afferma nel suo scritto sulla Comune: "La futura organizzazione sociale deve essere fatta dal basso in alto, per mezzo della libera associazione e della federazione dei lavoratori, prima nelle associazioni, poi nei comuni, nelle regioni, nelle nazioni e..finalmente in una grande federazione internazionale e universale.” Nonostante questa identità di vedute l'Internazionale, nella quale ancora esistevano altre posizioni, oltre quelle rappresentate da Marx e da Bakunin, come Proudhoniani, Giacobini etc...., si spacca e praticamente cessa di essere quel polo trainante organizzativo e politico a cui le prime associazioni operaie dell'Europa si erano rivolte e avevano contribuito esse stesse a rafforzarla. Seguendo il resoconto sul dibattito al congresso dell'Aia (2-7 settembre 1872) dove si consumò la frattura fra le diverse sezioni dell'internazionale, appare evidente che questa non avviene strettamente sul terreno organizzativo ma è una diversa impostazione politica sullo sviluppo della rivoluzione che si scontra. Non è tanto la necessità di conservare o aumentare i poteri al Consiglio Generale o meno, né, come spesso viene schematizzato, l'astensione difesa dai Bakuninisti da ogni azione politica, quanto una diversa concezione della fase di transizione, soprattutto da parte degli “anti-autoritari” con l'acquisizione fondamentale del dualismo organizzativo. Infatti di fronte ai sostenitori di un maggior potere del Consiglio Generale e la necessità che il proletariato si costituisse in partito politico (proposta dal Consiglio Generale stesso) ecco cosa Bakunin risponde: "L'Associazione Internazionale dei Lavoratori, ha potuto prendere una estensione immensa solo perché, essa ha eliminato dal suo programma obbligatorio tutte lo questioni politiche e filosofiche.- La cosa è così chiara che si resta stupiti quando la si deve ancora provare.- Io non credo di aver bisogno di dimostrare che, perché l'Internazionale sia e resti una potenza, essa deve essere capace di trascinare nel suo seno e di abbracciare e di organizzare l'immensa maggioranza del proletariato di tutti paesi dell'Europa e dell'America. Ma quale è il programma politico e filosofico che potrebbe illudersi di riunire sotto la sua bandiera dei milioni di uomini? Solo un programma molto generico cioè indeterminato e vago può farlo. Perché ogni determinazione in teoria corrisponde fatalmente ad una esclusione, ad una eliminazione pratica". Bakunin si rende conto che con un programma imposto dall'alto e attraverso i poteri che il consiglio generale rivendica, l'Internazionale finirà con il diventare una delle tante sette colpite dall'impotenza e dalla sterilità e non come lui stesso la ipotizza, fulcro della futura organizzazione sociale "dunque l'Associazione Internazionale dei Lavoratori che rappresenta come azione negativa la dissoluzione e come azione positiva la nuova organizzazione, è essenzialmente ed involontariamente rivoluzionaria. Preparando e organizzando gli elementi della nuova società accelera la distruzione del vecchio mondo e spingendolo nell'abisso essa rende sempre più possibile l'opera positiva dell'organizzazione". E' dunque l'Organizzazione di Massa che partendo dai propri bisogni e non da programmi politici è necessariamente rivoluzionaria e rappresenta al contempo l'embrione della futura organizzazione sociale. D'altro canto non esiste in Bakunin la sottovalutazione della necessità dell'organizzazione politica ne tanto meno l'agnosticismo di fronte alla politica. Ecco cosa scrive nei riguardi della funzione insostituibile e propulsiva della minoranza rivoluzionaria nella circolare ai "Miei amici d'Italia": "isolati, operando ciascuno di propria testa, voi sarete certamente impotenti, uniti organizzando le vostre forze per `quanto esse siano scarse in sul principio, in una sola azione collettiva ispirata al medesimo pensiero, dal medesimo scopo, dalla medesima posizione, voi sarete invincibili. Alcune centinaia di giovani di buona volontà non bastano certamente per creare una potenza rivoluzionaria fuori dal popolo. Basteranno però per organizzare una potenza rivoluzionaria del popolo". Dunque la necessità di una organizzazione politica ben strutturata presente nelle lotte del proletariato, con una propria caratterizzazione politica in rapporto, alla "apoliticità" dell'organizzazione di massa: l'Internazionale. Inoltre Bakunin prevedeva e ha contribuito a creare, nella stessa Internazionale, una struttura specifica; le così dette sezioni centrali dette anche sezioni di iniziativa. Le sezioni centrali si differenziavano dalle sezioni corporative e di mestiere, in primo luogo perché vi potevano aderire lavoratori di qualsiasi industria già iscritti alle rispettive sezioni di mestiere, oppure elementi rivoluzionari non aderenti ad alcuna sezione corporativa: "le sezioni centrali non rappresentano particolarmente nessuna industria, poiché gli operai avanzati di tutte le industrie possibili possono trovarvisi uniti.- Che cosa rappresentano dunque? L'idea stessa dell'Internazionale. Qual'è la loro missione? Lo sviluppo e la propaganda di questa idea “. In secondo luogo le sezioni centrali si differenziavano dalle sezioni corporative perché esse avevano un preciso indirizzo politico. Bakunin infatti che contestava a chiunque di assegnare dall'alto un indirizzo politico all'Internazionale, un indirizzo unico ufficiale, non escludeva che all'interno dell'Internazionale si agitassero problemi politici: "ma allora dovrebbe essere proibito ai occuparsi di questioni politiche e filosofiche nell'Internazionale? L'Internazionale non dovrebbe occuparsi d'altro che della questione economica? Una tale astrazione lasciatecelo dire è assolutamente impossibile. Questa preoccupazione esclusiva degli interessi economici sarebbe per il proletariato la morte". E' dunque il dualismo organizzativo l'elemento di fondo che divide l'Internazionale o che determina la sua morte. Nonostante l'interpretazione di Marx dell'esperienza della Comune — se non certo come la forma politica della dittatura del proletariato (sarà Engels a dire nell'introduzione all'edizione tedesca del 1891 "ebbene signori volete sapere com'è questa dittatura? Guardate la Comune di Parigi, questa fu la dittatura del proletariato") — come una significativa, anche se parziale e fragile esperienza di trasformazione rivoluzionaria degli ordinamenti pubblici rappresentativi, capace di realizzare le condizioni politiche specifiche per il superamento della divisione e della alienazione del lavoro e della connessa dissociazione borghese fra società civile e stato, si deve a Bakunin e agli anti-autoritari l' individuazione precisa e fondamentale della struttura organizzativa che dovrà gestire il processo di trasformazione rivoluzionario. Infatti, riconoscendo e praticando il dualismo organizzativo (Bakunin non preconizza questo metodo, ma lo ricava dalla pratica reale dell'organizzazione dell'Internazionale), non si può altro che arrivare ad una concezione della rottura rivoluzionaria che passa attraverso l'organizzazione di massa e al riconoscimento della autonomia del M.O. che si organizza con proprie strutture e con queste (né dunque con lo stato proletario, rivoluzionario e transitorio, né con il partito) esercita il suo potere: il potere operaio. A questo punto dello studio l'attenzione dovrebbe essere rivolta alla II° internazionale e ai suoi teorici ma ragioni di tempo e di utilità politica ci rendono consapevoli e coscienti di questo buco. Non crediamo, per ora, opportuno entrare nel merito di questa esperienza e di quelle elaborazioni, con la consapevolezza che il materialismo storico marxiano (scienza storico-critica in radicale discontinuità rispetto alla tradizione del sapere filosofico borghese) viene da questi signori svilito in una filosofia deterministica e evoluzionistica strutturalmente assai affine alle grandi costruzioni ideologiche borghesi del '600 e del '700. Entro questa cornice filosofica generale, lo stato assume, hegelianamente, una funzione storica positiva, una struttura aperta capace di sviluppo indefinito, che tende per la sua stessa natura a porsi come organo della maggioranza del popolo, suscettibile quindi di evoluzione in senso non classista. Lo stato borghese dopo la conquista parlamentare del potere politico da parte del partito socialdemocratico, rappresentante del proletariato e dopo l'introduzione del modo di produzione socialista, potrà essere designato e concepito come stato operaio e stato sociale, ma in nessun caso il potere statale potrà essere distrutto dalla classe proletaria. Il popolo nella sua totalità è incapace di autogoverno, non può quindi fare a meno di organi di direzione degli affari generali, dello stato, anche in regime di democrazia socialista. Passiamo perciò alla rivoluzione russa, anche se marginalmente, e a Lenin di "Stato e Rivoluzione". La giustificazione teorica che Lenin dà della ricostituzione del potere politico (statale) come forma della dittatura del proletariato, è la difesa della rivoluzione nei confronti della borghesia ".... i lavoratori hanno bisogno dello stato per reprimere la resistenza degli sfruttatori... le classi sfruttate hanno bisogno del potere politico per sopprimere completamente ogni sfruttamento, vale a dire nell'interesse dell'immensa maggioranza del popolo". Cioè Lenin, giocando sull'equivoco tra presa del potere da parte di tutto il proletariato, e conquista del potere politico da parte di un'avanguardia, attua un passaggio dalla difesa della rivoluzione all'accentramento nello stato della difesa della rivoluzione, come se questo offrisse l'unica soluzione possibile e concepibile. E' infatti fuori dalla concezione leninista la possibilità che il proletariato difenda la rivoluzione senza delegare la propria funzione di scelta e di organizzazione agli organi statali. Lenin non dimostra, ma dà per scontato che i lavoratori hanno bisogno dello stato, usando in proposito il già citato testo di Engels del'anti-duhring "... il proletariato si impadronisce del potere statale e trasforma tutti i mezzi di produzione innanzitutto in proprietà dello stato.... Il primo atto con cui lo stato si presenta realmente come rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso di tutti i mezzi di produzione in nome della società, è ad un tempo l'ultimo suo atto di indipendenza in quanto stato.... Al posto del governo sulle persone appare l'amministrazione delle cose e la direzione dei processi produttivi. Lo stato non viene abolito esso si estingue". Abbiamo già visto quanto questa concezione, presa così com'è, non sia affatto dialettica, ma in realtà determinista e meccanica e come questa impostazione sia stata presa dalla II° Internazionale. Inoltre Engels in questo testo non distingue affatto tra stato borghese ("che deve essere abbattuto" Lenin "Stato e Rivoluzione") e stato proletario ("che si estingue" -idem). Questa forzatura da parte di Lenin nasce, da una parte dalla necessità di recuperare le lotte del proletariato russo che concretamente puntavano alla distruzione dello stato con la nascita dei soviet, dall'altra dalla stessa formazione di Lenin che si sviluppa pienamente all'interno della II° Internazionale (solo a partire dal '17 egli si stacca da questa, di fronte alla constatazione del fallimento politico della socialdemocrazia tedesca di fronte al problema della guerra).- Ritroviamo infatti una omogeneità di vedute politiche e strategiche con i teorici della II° Internazionale a proposito dell'incapacità del proletariato di difendere con le proprie strutture (o. di m.) la rivoluzione, e da qui la necessità della macchina statale e del partito come coscienza esterna dei lavoratori, i quali possono esprimere solo una coscienza trade-unionista. Un altro passaggio altrettanto ingiustificato nella teoria leninista riguarda, oltre l'accentramento della difesa della rivoluzione (presentato come fatto fisico e militare), l'accentramento della direzione della trasformazione dell'economia dal capitalismo al comunismo. Questo passaggio si basa su un equivoco analogo al precedente: si riconosce cioè che il proletariato deve assumere la direzione dell'economia nell'opera di avviamento dell'economia socialista, ma si identifica il proletariato nel potere politico (statale) che opera nell'interesse dell'immensa maggioranza del popolo. Qui Lenin forza il concetto di Marx: "il proletariato adopererà il suo dominio politico per strappare a poco a poco alla borghesia tutto il capitale per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello stato, cioè del proletariato organizzato come classe dominante'' (“Manifesto") identificando il proletariato come classe dominante, con il concetto totalmente estraneo dello stato, non tenendo conto dell'ammissione dello stesso Marx specialmente dopo i fatti della Comune di Parigi, sulla insufficienza di tale indicazione. Questa concezione rivela quanto la posizione leninista rispetto all'organizzazione operaia e al dualismo organizzativo sia omogenea a quella della II° Internazionale. La classe operaia porta con sé oltre ai valori derivanti dalla condizione attuale della produzione, come l'unità, anche quelli della autonomia, della capacità creativa, della coscienza di classe. L'autonomia è la capacità di distinguere esattamente i propri interessi di classe da quelli di tutte le altre classi, e quindi elaborare la propria strategia in modo indipendente dalla borghesia, dalla piccola borghesia ecc.- L'autonomia nasce e si sviluppa solo nelle lotte di massa a condizione che sia presente e agisca una minoranza cosciente organizzata capace di dare indicazioni strategiche e di stabilire con le masse un rapporto corretto, che superi sia lo spontaneismo che il dirigismo, residui piccolo-borghesi. L'organizzazione politica, il Partito, ha il suo fondamentale compito nel porsi come elemento politico attivo, che nato dalla spontaneità la supera e in un processo di formazione ininterrotto evita il perdersi delle esperienze, e la frattura tra base e dirigenti con una circolazione continua della coscienza nei due sensi, dato che la coscienza stessa nasce e si nutre dalle esperienze delle lotte spontanee. L'organizzazione è quindi la struttura all'interno della quale si elabora la presa di coscienza proletaria a livello più elevato: la teoria rivoluzionaria. L'approfondimento delle sue tesi e il rafforzamento della sua coesione teorica si inscrivono nella prospettiva dinamica e concreta del massimo sviluppo delle lotte. Essa deve permettere di capitalizzare e di analizzare le esperienze storiche, così come la massa dei fatti presenti, ricavando la teoria capace di integrarsi nella realtà, attraverso la pratica quotidiana delle lotte. Capace inoltre di esprimere i diversi livelli della lotta e della coscienze delle masse e di confrontarla con la realtà dello sfruttamento, al di là delle rivendicazioni elementari e parziali, interne al sistema, approdando alla contestazione globale della società e all'elaborazione di “un mondo nuovo". L'organizzazione è l'elemento delle masse che permette di affermare e di imporre politicamente la loro soluzione. L'organizzazione quindi, non come essenza della concezione rivoluzionaria realizzata una volta per tutte. Quanto questa posizione, che abbiamo visto fu pratica della prima internazionale e difesa e definita da Bakunin, fosse lontana dalle posizioni di Lenin è possibile verificarlo ulteriormente leggendo "Che fare": “Abbiamo detto che gli operai non potevano ancora possedere una coscienza social-democratica. Essa poteva essere loro apportata soltanto dall'esterno. La storia in tutti i paesi attesta che la classe operaia con le sue sole forze è in grado di elaborare soltanto una coscienza tradeunionista, cioè la convinzione della necessità di unirsi in sindacato di condurre la lotta contro i padroni, di reclamare dal governo questa o quella legge necessaria agli operai. La dottrina del socialismo è sorta da quelle teorie filosofiche, storiche, economiche che furono elaborate dai rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali”. Torniamo a "Stato e rivoluzione". Il testo di Lenin prosegue con altre forzature arrivando a cogliere nella Comune di Parigi (di cui abbiamo già visto l'opera di Marx) un "centralismo proletario" in contrapposizione alla concezione federalista degli anarchici. Quanto in Lenin sia rimasto della metodologia della seconda internazionale, cioè il travisamento del metodo di analisi del materialismo storico in una teoria evoluzionista e determinista, lo si coglie pienamente nella polemica con gli anarchici. La critica di fondo che Lenin muove, dietro la polemica di Marx e Engels con i Prudoniani e Bakuninisti, è che questi vogliono la scomparsa dello stato, delle classi ecc. dall'oggi al domani. Abbiamo già visto quanto questo sia falso e che il nodo della questione fosse ben altro, cioè il dualismo organizzativo e quanto a questa volgarizzazione abbiano influito, molto di più i seguaci; da una parte la socialdemocrazia e dall'altra gli anarchici, più che gli stessi Marx, Engels e Bakunin. La concezione evoluzionista del processo di trasformazione socialista di Lenin la si coglie ancora più chiaramente nell'opuscolo pubblicato nel maggio 1921 in cui Lenin chiarisce il significato dell'imposta in natura che rappresentò lo sviluppo della NEP. “...il capitalismo di stato non è un male temibile per il potere sovietico, poiché lo Stato sovietico è uno stato in cui è garantito il potere degli operai e dei contadini poveri". Qui torniamo alla concezione classica di Lenin cioè nell'identificazione arbitraria del partito guida e dell'avanguardia che ha in mano il potere statale con il proletariato tutto. L'incomprensione dell'Autonomia Operaia e del suo significato è spaventosa, se si pensa che Lenin afferma queste cose quando già dal 1905 avevano fatto la loro prima comparsa, proprio in Russia, i Soviet, struttura chiaramente di dualismo di potere. L'impostazione determinista e meccanicista, come già abbiamo visto, della necessità della statalizzazione dei mezzi di produzione per arrivare alla soppressione dello stato, fa arrivare Lenin a conclusioni che non hanno nessuna giustificazione scientifica. Poiché se è vero che la nuova società, come Marx la definisce nella “Critica al programma di Gotha”, il socialismo, conserverà degli elementi del vecchio mondo borghese, non saranno certo quelli che Lenin non solo giustifica ma persegue in nome dello stato socialista. "La Germania: qui abbiamo l'ultima parola della tecnica moderna nella grande industria capitalista e nell'organizzazione pianificata, sottomessa all'imperialismo borghese e Junker. Omettete le parole sottolineate, mettete in luogo dello stato degli Junker, militare borghese imperialista, uno stato che è anch'esso uno stato ma uno stato di un altro tipo sociale, con un altro contenuto di classe, lo stato sovietico cioè proletario e voi otterrete tutte le condizioni che , sommate danno il socialismo...". Per comprendere meglio, da un articolo di Lenin su "i compiti immediati del governo sovietico" pubblicato sull'Jsvetiya del Comitato Esecutivo Centrale Panrusso il 28 aprile 1918, si legge che fra i provvedimenti suggeriti c'erano l'introduzione di un sistema di tessere per registrare la produttività di ogni lavoratore, l'introduzione di regolamenti di fabbrica in ogni impresa, l'instaurazione di uffici della produzione con lo scopo di fissare la valutazione del rendimento di ogni operaio e il pagamento di premi per l'accresciuta produttività. Non ci voleva una grande immaginazione per vedere negli scribacchini (che registravano la produttività di ogni operaio) e negli impiegati (che facevano funzionare la valutazione degli uffici per la produzione) gli elementi per una nuova divisione di classe. Lenin andò persino oltre. Egli scrisse : “Noi dobbiamo iscrivere all'ordine del giorno, indurre praticamente e far sorgere e mettere alla prova il problema del lavoro a cottimo... noi dobbiamo considerare il problema di applicare i numerosi elementi scientifici e progressisti nel sistema di Taylor...La repubblica sovietica deve a tutti i costi adottare tutto ciò che è prezioso nelle conquiste della scienza e della tecnologia in questo campo...Noi dobbiamo organizzare lo studio e l'insegnamento del sistema di Taylor. Solo i coscienti rappresentanti (o nella maggior parte dei casi senza dubbio incoscienti) della fiacchezza piccolo borghese potevano vedere nel recente decreto sulla gestione delle ferrovie che concedevano ai capi individuali poteri dittatoriali, un certo tipo di allontanamento dal principio collegiale della democrazia e da altri principi del governo sovietico...La sottomissione cieca a una singola volontà è assolutamente necessaria per il successo dei processi di lavoro che sono basati sull'industria delle macchine su larga sala...Oggi la rivoluzione chiede negli interessi del socialismo che le masse obbediscano ciecamente a una singola volontà dei capi del processo lavorativo”. Come dicevamo e abbiamo visto, Lenin in sostanza disegna come fase necessaria per la transizione al socialismo lo sviluppo del capitalismo di Stato: “il capitalismo monopolistico di Stato è quel gradino della scala storica che nessun gradino intermedio separa dal gradino chiamato socialismo” dove l'unica garanzia per il proletariato non sta anche nelle mutate forme di produzione e di organizzazione del lavoro, ma nel fatto che lui e il partito bolscevico si siano autoproclamati l'avanguardia cosciente di tutto il proletariato. Come invece questi elementi, insieme alla libertà di commercio che Lenin previde come passaggio dal comunismo di guerra a una forma transitoria per il giusto scambio socialista, cioè l'imposta in natura, così come le concessioni ai capitalisti privati per far funzionare la grande industria siano stati palesemente i primi passi verso la soppressione della rivoluzione proletaria e la ricomposizione di un sistema capitalista, è la storia che lo dimostra. Dopo aver visto le forzature di Lenin, ci pare interessante evidenziare alcune elaborazioni libertarie legate all'anarchismo di classe e alla figura di Fabbri, il quale, tra i militanti anarchici, fu tra coloro che aveva un saldo legame con la classe e il suo rapporto con il marxismo non fu mai di aprioristico rifiuto. Anche Fabbri, come del resto Bakunin, non ci offre un quadro organico di riferimento; spesso anche per lui non sempre è chiaro il rapporto tra struttura e sovrastruttura, per cui alcuni processi storici vengono legati ad atti di volontà e non a determinate situazioni "storicamente determinate". In Fabbri come già in Bakunin e come ancora in molti comunisti anarchici attuali, si accetta il materialismo storico come elemento scientifico di base, ma si rifiuta il materialismo dialettico, confondendo spesso questo con il determinismo. Il non comprendere l'organicità di questi due elementi, ha portato ad applicare il metodo scientifico di analisi spuntandone l'efficacia; per cui spesso il materialismo perde il suo storicismo per diventare schema immobile nei tempi e la dialettica diventa dialettica della volontà e non dialettica dei fatti storici. Dalla dialettica dogmatica del revisionismo e del leninismo-stalinismo, si passa così ad un approccio empirico e a volte eclettico. Nonostante questi limiti di fondo, comuni a tutti i compagni comunisti anarchici che si rifiutano di fare i conti fino in fondo con la lotta di classe e con il metodo scientifico di analisi del Materialismo Storico e Dialettico, il patrimonio di esperienze e di elaborazioni del movimento C.A., è fondamentale per la ridefinizione della teoria rivoluzionaria. Tracciati i limiti dell'esperienza libertaria in quegli anni, occorre cogliere lo categorie di riferimento che danno validità alle indicazioni libertarie. IL SOGGETTO RIVOLUZIONARIO E' questo uno degli aspetti più qualificanti dell'anarchismo di classe, il quale individua nella classe, cioè in chi vive sulla propria pelle le contraddizioni economiche, il motore rivoluzionario, ma contemporaneamente è consapevole che non basta la situazione oggettiva di essere nella classe per essere soggetto rivoluzionario, ma occorre anche la coscienza del proprio sfruttamento. Questa sottolineatura soggettivistica è molto importante perché soprattutto negli anni in cui si afferma il riformismo è dilagante una concezione messianica e fatalista del "divenire storico”. Contemporaneamente il soggettivismo anarchico prende le distanze anche dal leninismo che in quegli anni anch'esso opera un recupero del ruolo soggettivo nel processo di trasformazione rivoluzionario. L'anarchismo di classe lega indissolubilmente lo sviluppo della coscienza di classe all'interno della classe stessa, perché solo chi vive materialmente la contraddizione del processo produttivo, può sviluppare un punto di vista realmente antagonista all'avversario di classe. Nasce da qui la diffidenza per chi ha abbracciato la causa del proletariato partendo da posizioni ideologiche o morali, ed una dura opposizione proprio nei confronti di tali intellettuali che, politicanti di mestiere, finiscono per diventare i dirigenti delle organizzazioni operaie. "...bisogna evitare scrupolosamente di affidare le cariche sociali dei sindacati ai non appartenenti alla classe operaia, vale a dire ai professionisti (avvocati, dottori, professori, studenti, ecc...), non perché in mezzo a loro non ci possono essere buoni socialisti e ottimi anarchici amici sinceri degli operai, ma perché purtroppo l'esperienza ci insegna che essi han contribuito, nella generalità, a far degenerare il movimento operaio verso il riformismo. E ciò è naturale, perché i professionisti in genere vengono al socialismo e all'anarchia (quando nol fanno in male fede, per procurarsi popolarità o affari) per convincimento del tutto teorico, e non per interesse loro diretto. Essi sentono perciò la questione sociale in modo indiretto, e sono più proclivi a correr dietro gli uni alla fata Morgana della politica parlamentare e gli altri a perdersi nelle elucubrazioni astratte di una filosofia trascendentale, -nell'un caso e nell'altro riuscendo dannosi e inadatti alle funzioni pratiche e e antiborghesi insieme del movimento proletario.” L. Fabbri (L'organizzazione operaia e l'anarchia). Ciò ci pare un sano approccio materialista, molto più corretto di chi parla di coscienza da portare al proletariato dall'esterno, e più corretto dell'uso disinvolto della dialettica, la dove nell'affermare l'influenza della sovrastruttura (ideologia, partito, stato ) in una determinata situazione data, si arriva a delineare il ruolo positivo dello stato, il quale, in quanto stato proletario, non solo non è più espressione diretta della classe economicamente egemone, ma diventa il mezzo principale per smantellare il potere economico che la borghesia continua a mantenere nel periodo di transizione. Noi non saremmo dei materialisti né dei dialettici se pensassimo ad un ribaltamento dei rapporti di produzione globale e simultaneo nel mondo intero, come atto preliminare per tagliare alla radice l'elemento strutturale su cui si regge il regime capitalista. Conosciamo lo sviluppo dei processi storici e sappiamo che il susseguirsi delle formazioni economico-sociali non avviene a salti e che l'affermazione di una nuova formazione economico-sociale è preceduta sempre da un periodo in cui il vecchio resiste al nuovo ed i due modi convivono in rapporti sempre più precari sino a che eventi storici particolari (non sempre una rivoluzione come oggi è intesa) non permettono il definitivo affermarsi del nuovo. Il problema dunque è capire lo sviluppo dialettico delle formazioni economico-sociali, per cogliere gli aspetti nuovi e quali invece, un affinamento del già esistente. Prima di andare oltre bisogna ricordare che le formazioni economico-sociali che hanno preceduto il capitalismo non hanno mai assunto il carattere di universalità, infatti alcune fasi dello sviluppo storico in determinati contesti territorialmente definiti non si sono presentati; per esempio le tribù germaniche e slave, che popolavano Europa centrale ed orientale, passarono alla formazione feudale direttamente dal regime della comunità primitiva, "saltando" così la fase della formazione schiavistica. Pertanto sebbene il susseguirsi delle formazioni economico-sociali abbiano uno sviluppo sostanzialmente uniforme, si può affermare che questa evoluzione è avvenuta in tempi diversi ed è stata fortemente condizionata nei diversi territori, i quali, dato lo sviluppo pressoché assente dei mezzi di comunicazione, si presentavano come sistemi chiusi. Quindi formazioni economico-sociali non universalmente affermatesi e nelle quali, sebbene fosse assente la contraddizione tra società civile e società politica -in quanto lo status politico determinava lo status sociale - più evidente era la contraddizione tra le classi. Il periodo che ha visto l'affermazione della borghesia come classe dominante è contrassegnato da uno sviluppo tumultuoso dei mezzi di trasporto, i quali hanno permesso di ridurre drasticamente i tempi di circolazione delle merci, trasformando i mercati in mercato mondiale. E' questo il primo elemento, ed il più importante, che fornisce la base per uno sviluppo universale del capitalismo, il quale con la creazione di un libero mercato della forza lavoro, viene a determinare la figura dell'uomo libero sulla quale si svilupperanno le teorizzazioni dei filosofi borghesi. Questi misconoscono la natura di classe della società borghese: caduto con la rivoluzioni borghesi le differenze di status politico, l'uomo viene posto su un terreno di uguaglianza nei confronti della società, ed il suo diverso posto nella "scala sociale" è legato esclusivamente alle sue capacità. Questi elementi ci fanno comprendere gli enormi compiti che si pongono di fronte ad una organizzazione rivoluzionaria: da un lato la necessità di un continuo approfondimento per chiarire l'esistenza e l'antagonismo dello classi, dall'altro, data la universalità del capitalismo, l'altrettanto necessaria universalità del processo di trasformazione. Universalità che non significa contemporaneità, impensabile per i diversi sviluppi delle forze produttive e per il diverso sviluppo delle organizzazioni e della coscienza di classe nei vari paesi, ma apertura di una nuova fase di trasformazione, che entrando radicalmente in contraddizione con l'esistente, può garantire il suo successo solo se è capace di generalizzarsi nel più breve tempo possibile. Questa digressione ci è servita per comprendere meglio l'esistente e quindi ci deve servire per capire il nuovo. La fase attuale è caratterizzata dall'affermazione del capitalismo in tutto il mondo, ciò avviene in maniera sostanzialmente differente dall'affermazione del capitalismo nella sua fase iniziale. Uno dei dati più rilevanti che oggi determina una conformazione nuova del capitalismo è l'intervento statale. Lo stato, da semplice apparato di violenza organizzata, sovrastruttura repressiva al servizio ed espressione della borghesia, ha modificato il suo ruolo esplicando sempre di più le sue funzioni sul terreno economico. L'intervento dello stato nell'economia, dal New Deal in America ai paesi dell'Est, non fa che acuire ulteriormente la contraddizione primaria del capitalismo, si ha cioè da una parte una accentuazione della natura sociale della produzione, e dall'altro, la permanenza della appropriazione del prodotto del lavoro da parte dei non produttori. Questa contraddizione è irrisolta anche nei paesi dell'Est, nei quali, a conforma della universalità della formazione economico-sociale del capitalismo, benché l'intervento dello stato abbia determinato delle modifiche rispetto allo sviluppo del capitalismo nei paesi occidentali, ci troviamo di fronte ad una economia che conserva le caratteristiche del capitalismo. Presenza della proprietà privata, necessità di sbocchi di mercato (imperialismo), ruolo del credito (interazione e interdipendenza con l'economia occidentale), lavoro salariato. Il quadro che abbiamo di fronte è quello di un capitalismo fortemente scosso dalle sue contraddizioni, ma nonostante ciò non si scorgono in questa formazione, neppure in germe, la presenza di una nuova formazione economico-sociale. L'unico dato oggettivo di contraddittorietà è lo sviluppo del proletariato come classe antagonista della borghesia, e, in dipendenza di ciò, ma non sempre e non sempre chiaramente, organizzazioni operaie espressione della sovrastruttura ideologica della classe, le quali proprio per l'assenza di un tessuto economico di base sostanzialmente nuovo, solo parzialmente riescono a svolgere un ruolo antagonista alle istituzioni borghesi. Nasce da qui la necessità di fissare la nostra attenzione su quei processi di natura economica che possono creare le condizioni reali per aprire la fase di trasformazione socialista. Dalle cose dette, lo schema materialista-dialettico che ne discende è quello che vede seguire alla seguente, una formazione economico-sociale dove alla completa socializzazione del processo produttivo si affiancherà la proprietà sociale dei mezzi di produzione e del prodotto del lavoro. Questa nuova formazione por potersi esprimere, anche se solo in germe, ancor più di altre formazioni in altre epoche storiche necessità di un atto di rottura violenta. Ciò dipende dalla universalità del capitalismo e dal totale ribaltamento rappresentato dal comunismo, che per la prima volta nella storia della umanità dovrebbe aprire un'era dove assente è lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Non a caso Marx parla di fine della preistoria Nel passato sebbene le nuove forme economiche siano state favorite da episodi di violenza: invasioni guerre, rivoluzioni, queste si sono sviluppate, per decenni e centinaia di anni, in parallelo alle vecchie formazioni, spesso contrastandole, ma molto spesso assorbendole. In queste fasi di evoluzione non appare contraddittorio la trasformazione del patrizio romano in signore feudale e di questo in mercante. Le trasformazioni economiche cambiavano il mondo, ma un dato, pur nella sua diversità, rimaneva costante: l'espropriazione del lavoro di una classe a favore di un'altra, dominante. Compito del proletariato è spezzare questa costante. Esproprio …. " Se il proletariato, o per esso una minoranza cosciente,. riuscirà con la rivoluzione ad abbattere il governo centrale borghese, e non profitterà subito dell'assenza del cane da guardia per espropriare la borghesia su tutti i punti del territorio; se immediatamente l'azione delle grandi masse non si sostituirà o non entrerà in lizza a lato della minoranza che ha aperto il cammino, in modo che dovunque i proletari prendano in mano la gestione della proprietà, ma lasceranno invece quella proprietà in piedi (e cioè che i borghesi restino proprietari della ricchezza), contentandosi di diventare i governanti, o meglio di nominarli, e di essere semplicemente i privilegiati nel diritto di votare, è facile prevedere che cosa avverrà, senza bisogno d'esser profeti". ....."Passato il primo momento tumultuario, il governo politico tornerà ad essere determinato dal fattore economico. Che i governanti sì dicano a siano stati socialisti o proletari, avrà poca importanza, essi, per reggersi al potere, non -potranno che essere l'espressione più o meno dissimulata della classe rimasta economicamente privilegiata. Se la maggioranza dei lavoratori sarà ancora alle dipendenze economiche della borghesia, quando dovrà eleggersi i rappresentanti se ne eleggerà gran-parte di come la borghesia vorrà.... come succede oggi. Oggi votano anche i borghesi, ma i loro voti da- soli non basterebbero punto a costituire una maggioranza parlamentare; e se la maggioranza dal parlamento è borghese è perché la maggioranza dei proletari vota per i suoi sfruttatori. Dopo la rivoluzione, se i padroni rimarranno padroni, il suffragio universale proletario non servirà, tutt'al più, che alla creazione di una nuova forma di politicantismo e di burocrazia, specie di sensali fra classe operaia e classe borghese che, come tutti i sensali, con vesti e nomi nuovi finiranno col fare l'interesse degli economicamente più forti". ...."Il governo, col dirsi socialista non sfuggirà alle leggi della sua natura; cambieranno le persone dei privilegiati, le forme di privilegio, le divisioni di classi, vi saranno spostamenti di ricchezze, ecc..ma lo Stato continuando ad esistere, come fonte di privilegio politico, tenderà sempre a rispecchiare gli interessi della classe che godrà del privilegio economico, e quindi a conservare quest'ultimo, abbattendone i rami secchi ma favorendone il continuo riprodursi". .... " Negare la funzione espropriatrice della rivoluzione, intesa come atto risolutivo che spezza le resistenze politiche o armate della borghesia, è inconcepibile, impratico e inconciliabile col trionfo della rivoluzione stessa; e forse, per fortuna, è impossibile evitarla!” ...."Ne per la bisogna mancano gli organismi proletari necessari - gruppi locali, organizzazioni o sindacati proletari e corporativi, comitati o consigli operai, per comune, per provincia o regione, ecc. attraverso e per mezzo dei quali il proletariato eserciti, con la sua azione diretta, la propria forza espropriatrice, senza affidarne il compito ad uno Stato centrale, proletario di nome, ma di fatto composto di poche persone di un solo partito". ..."Più che possibile, l'espropriazione fin dal primo momento insurrezionale, dicevamo sopra, è forse inevitabile. L'espropriazione, -cioè la presa di possesso delle fabbriche, degli stabilimenti, degli strumenti di lavoro in genere e di tutti i prodotti accumulati, è anzi una delle forme con cui la rivoluzione si inizierà; in certo modo potrebbe anche precedere, in parte, l'insurrezione. Dopo l'occupazione operaia degli stabilimenti metallurgici italiani, nel settembre 1920, è,facilmente prevedibile che ogni movimento proletario un po' serio, ogni movimento di popolo sarà d'ora in poi accompagnato, preceduto o provocato da simili tentativi di presa di possesso della proprietà dei capitalisti". ...."L'insurrezione per un breve periodo può spezzare le leggi del determinismo economico, e cioè vincere le resistenze armate d'una classe economicamente più forte; ma per rimanere vittoriosa bisogna che cambi con la sua stessa violenza, nel breve ciclo della sua azione, le condizioni economiche in modo che queste determinino a loro volta un maggiore sviluppo della rivoluzione e la definitiva sconfitta degli elementi borghesi, che volessero rialzare la testa". (da "Dittatura e Rivoluzione" - Luigi Fabbri). Il nuovo, dunque, è da individuare nella proprietà sociale dei mezzi di produzione, cioè nell'industrie e in genere nelle strutture produttive e di lavoro espropriate dai lavoratori e da loro stessi gestite. L'esproprio è l'atto preliminare per avviare la nuova formazione economica, in quanto rappresenta la condizione indispensabile per minare alla base il potere della borghesia, e contemporaneamente rappresenta una solida base strutturale sulla quale si costruisce la nuova organizzazione sociale. Una rottura rivoluzionaria di tale portata si potrà avere solo dalla combinazione positiva tra l'acuirsi delle contraddizioni del capitalismo e la presenza di una forte organizzazione della classe nella quale, grazie alla presenza di avanguardie coscienti (0rganizzazione Specifica), si abbia un'alta coscienza dell'antagonismo di classe. L'organizzazione della classe attraverso l'esproprio, cioè attraverso la gestione della rottura rivoluzionaria, crea le basi materiali per lo sviluppo dell'organizzazione di massa rivoluzionaria, la quale rompendo con tutti i residui e le incrostazioni riformiste ed interclassiste, attraverso le sue articolazioni territoriali e di fabbrica, si assume la gestione dell'organizzazione sociale. gennaio 1983
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